Nonostante il legame che li unisce i due santuari non potrebbero, architettonicamente parlando, essere più diversi.
A differenza di quello ligure, il santuario della Madonna di Porto Salvo di Lampedusa è piccolo e raccolto, costruito a ridosso delle grotte “sacre” che si dice fossero rifugio di un eremita e luogo di preghiera sia per cristiani che per musulmani, ha un interno spoglio ed essenziale mentre l’esterno è una piccola isola di pace e di verde, sicuramente un luogo che ha un’atmosfera mistica da non sottovalutare e nel quale rifugiarsi, al di là del credo personale di ognuno, per un momento di introspezione o anche semplicemente di calma.
Storicamente parlando le prime notizie certe del culto della Madonna a Lampedusa risalgono al 1254: ne abbiamo notizia da Jean de Joinville, cronista al seguito del re Luigi IX - che diverrà poi San Luigi - in occasione di una sosta di quest’ultimo sull’isola; al 1558, a cura dello storico Fazello, risalgono altre notizie di una chiesa dedicata alla Madonna all’interno di una grotta, notizie ribadite da altri successivamente e su cui, con buona probabilità, si innesta la storia dell’Anfossi.
Quindi ci troviamo di fronte ad un luogo presente nel tessuto dell’isola e della sua religiosità, addirittura condiviso con un’altra religione. Si parla del luogo sacro anche nel contratto di affitto risalente al 1800 tra i Tomasi e la comunità maltese capeggiata da Gatt dove si stabilisce che questi avrebbero dovuto mantenere un religioso per la cura della cappella; e la famiglia Gatt, con i suoi concittadini, si prese cura della grotta, abbellendola e costruendoci contiguamente, nonché piantando alberi e piante.
Altre testimonianze sono ricavabili dai rilievi topografici eseguiti ai primi dell’800 da William Smith che indica il luogo con la doppia denominazione di moschea e chiesa.
Purtroppo con gli anni le cose cambiarono, Lampedusa divenne teatro di varie vicende e dispute legate alla sua proprietà ed anche questo luogo cadde in rovina. Nel 1843 i proprietari, i Tomasi, viste anche le difficoltà oggettive di gestione del luogo, decisero di disfarsi dell’isola e Ferdinando II di Borbone, per scongiurare che passasse in mani inglesi, decise di comperarla e di ridarle nuova vita.
All’uopo sull’isola fu inviato un Governatore, Bernardo Sanvisente che, fra le tante cose, si occupò anche della piccola cappella. Oggigiorno il suo intervento di restauro verrebbe considerato invasivo: fece infatti demolire la parte anteriore dedicata al culto musulmano facendo costruire una facciata in muratura con annesso un piccolo campanile, stravolgendo quindi non solo l’architettura del luogo ma anche e sopratutto il senso religioso comunitario che aveva fino ad allora caratterizzato il luogo.